“Forza”, mi dicono.
“Forza”, gli dico appoggiandomi al muro, quasi volessi assorbire l'energia di questa struttura d’eccellenza nelle terapie per la pancreatite acuta. Qui in Humanitas la forza pulsa “Dentro la vita. La ricerca apre nuove strade, l’umanità le percorre”. Quale profonda verità! Cercare se stessi, focalizzandosi non tanto sulle cause quanto sulle possibili soluzioni apre strade realmente incredibili. E percorrerle riscoprendosi umani garantisce forze inaspettate.
Servono tante forze. In molti ormai mi domandano come faccio a reggere una simile maratona… Lo faccio ammettendo i miei limiti. E i miei errori, perché ho corso a ostacoli con la massima grinta i primi chilometri, per ritrovarmi dopo un mese e mezzo prostrata dall’abnegazione. Eppure, ogni mattina sembra stracarico il pilota automatico che mi spinge ad esserci. Sempre. Indefessa, incurante dei segni di cedimento, sorda a richiami di fatica o “mali minori”. Ma perché mai?
L’abnegazione è uno spirito di sacrificio che tende alla negazione di sé. È dedizione assoluta, completa. Pesante, no? Di più: può diventare necrotica, perché uno stress acuto altera le cellule e le porta alla morte. Non stupisce che una variante antica di abnegazione fosse annegazione, derivato del latino necare, uccidere.
Servirebbe una necrosectomia dell’abnegazione. Un drenaggio profondo, per rimuovere ciò che non è più vitale, come la procedura adottata nella terapia della pancreatite acuta.
Più che di macchine abbiamo bisogno di umanità. Più che intelligenza, abbiamo bisogno di dolcezza e bontà. (Charlie Chaplin)
Oh, quale bagno di realtà! Abbiamo un bisogno viscerale di pura umanità. Con questo non rinnego il valore delle macchine, anzi: quando sono guidate con serietà e intelligenza, in primis in campo medico, possono fare miracoli. Ma il vero miracolo ha quel disarmante e disarmato stupore di fronte all’umanità che si eleva sopra l’umano in una comunanza di solidarietà, compassione, comprensione, amore, perdono, cura, gentilezza. Perché siamo tutti connessi, oltre che complessi. Connessi, come lo è ogni cellula del nostro corpo, complessi come i sistemi che ci animano, dal meccanico all’organico, dall’idraulico al nervoso, fino allo spirituale.
“Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto” consigliò il Nobel per la Pace Joseph Rotblat. Che stolti siamo: la dimentichiamo troppo spesso questa benedetta umanità. E ci troviamo costretti a riscoprirla quando la salute manca, quando la forza d’animo diventa una grande alleata.
Fin da piccola mi dicevano: “sei una forza della natura”. Ma cosa fa una forza della natura? Come si esprime? È potente, intensa e anche particolarmente vigorosa, esuberante. È vitale ma come Giove ha anche una notevole gravità che deve esser limitata. O, meglio, definita, determinata, come l’epiteto che i romani davano all’omonimo dio, protettore degli impegni e dei confini. E qui entra in gioco la perseveranza, “per severus, l’essere rigoroso a lungo. (…) La presa salda sulle proprie azioni e sui propri pensieri - mano ferma su un timone - che non ha la smania stolta di spasmi casuali d’arrivismo, ma invece il passo sicuro di chi sa dove vuole andare - e soprattutto perché vuole tagliare quel traguardo”.
E tutto torna, perché la forza si manifesta nella perseveranza, che non è abnegazione ma determinazione. Determinazione a riconoscere le emozioni senza farsi sopraffare, ad amare senza aspettarsi nulla in cambio, a impegnarsi per migliorare, a essere il cambiamento che si vuol vedere.
Dicono che “il fermo rigore della perseveranza, a monte, sgorga da un giudizio forte, ponderato, lucidamente deliberato - e perciò, di immenso valore”. Onestamente fatico a definire da quale giudizio sgorghi la perseveranza che sto sperimentando. Ma con altrettanta sincerità posso ammettere che sento la forza della natura che mi anima: il tendere a quella umanità, umile e innegabilmente identitaria, che mi aiuta a resistere alle cascate della vita. E – perché no? – a voltarmi poi indietro riconoscendo che anche quei vortici mi hanno temprata, non dominata.
“Siamo dominati da tutto ciò con cui ci identifichiamo. Possiamo dominare tutto ciò da cui ci siamo disidentificati.” (Roberto Assaggioli)
Disidentificarsi significa entrare in uno stato mentale in cui non si è più schiavi delle proprie emozioni, che invece si imparano ad accettare e gestire in modo sano e costruttivo. Significa vivere senza essere costantemente sovrastati dai sentimenti o dall’illusione di poter comprendere e risolvere tutto.
Come asserì sempre Assaggioli, fondatore della psicosintesi: “La vita non procede per riempimento di vuoti, ma per conquista di spazi interiori”. Così drenando il marcio che ci abita, pulendo le pareti del nostro abitacolo si spera l'energia torni a fluire. Dentro la vita, con la sua stupefacente umanità.
"Sapete che cosa significa amare l’umanità? Significa soltanto questo: essere contenti di noi stessi. Quando uno è contento di sé stesso, ama l’umanità." (Luigi Pirandello)
Confermo cara Marghe: sei una forza della natura !!!