
Mi torna alla mente quel numero: venti.
Venti millilitri di latte. Una vittoria immensa.
"Sono riuscita a dargli 20 ml di latte e non l'ha nemmeno rigurgitato!"
Ecco le soddisfazioni di una neomamma con tre gemelli prematuri. Tre capolavori in miniatura: unghie grandi come capocchie di spilli, ciglia come capelli d'angelo, corpi simili a fiammiferi. Così piccoli che la natura non aveva ancora insegnato loro come succhiare.
Ogni poppata era un'opera di pazienza infinita, un tocco gentile sulle guance, un'attesa.
Quei venti millilitri sono diventati trenta, poi cinquanta. I biberon avevano un adattatore speciale perché le vostre bocche erano minuscole. All'inizio solo sondini e pipette. Otto pasti al giorno, moltiplicati per tre. Un foglio in cucina, simile a un file Excel, dove annotavo tutto: orario, quantità, cambi, integratori, pianti.
Eppure, lo ricordo come il periodo più bello della mia vita. Quell'aiuto incredibile che arrivava da ogni parte. Familiari, amici che passavano "giusto per darvi una poppata". Una tensione comune, un obiettivo condiviso: alimentarvi con amore.
Proprio oggi mi domando: quando abbiamo smesso di alimentarvi con amore?
Leggo i dati della Giornata del Fiocchetto Lilla, dedicata ai disturbi alimentari. Un'emergenza che si aggrava: negli ultimi tre anni, i casi più che raddoppiati. L'età si abbassa, arrivando a bambini di otto-nove anni. Anoressia e bulimia, seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali. In Italia 3,5 milioni di persone soffrono di disturbi dell'alimentazione. Il 90% sono donne, ma gli uomini aumentano.
L'età d'esordio sempre più precoce. Social network che impongono modelli irraggiungibili.I segnali: mangiare di nascosto, tagliare il cibo in pezzi minuscoli, saltare i pasti, ossessioni nella preparazione, condotte compensatorie, alterazioni dell'umore. La pandemia ha peggiorato tutto: incremento del 30-35%.Nulla di nuovo sotto il sole in questa giornata lilla.
Come per il fiocco rosa del tumore al seno: si parla, si sensibilizza, ma poi? La pandemia ha peggiorato la situazione, i social propongono modelli impossibili, le famiglie si disgregano, le cure vengono contestate.
"Curare il corpo e la mente: l'importanza di un approccio integrato" – dichiarato spesso, raramente applicato. Si parla di multidisciplinarietà, di curare la persona nel suo complesso. Medici, nutrizionisti, psicologi, infermieri, educatori, filosofi... tutti insieme. Ma io credo che finché l'approccio resta focalizzato sulla singola persona, sul ragazzo diagnosticato come DCA, e non sulla famiglia in senso allargato, non andremo lontano.
Certo, i genitori si mettono in discussione (nel migliore dei casi). Ma forse è necessario allargare lo sguardo sull'orizzonte temporale familiare. Quante nonne, bisnonne, nonni hanno sofferto di ulcera, mal di stomaco, intolleranze, nevrosi, malinconie? Quelle che un tempo erano considerate addirittura "stati d'animo nobili", degni di ammirazione?
Ciascuno dovrebbe voltarsi indietro, guardare con compassione la propria storia familiare, domandarsi se ci sono stati transfer. E perché proprio i nostri figli devono farsene carico, rischiando di rimetterci la pelle, o rimanere pelle e ossa.
Fermiamoci un attimo prima di uscire con la classica domanda: "Hai mangiato? Cosa hai mangiato?"
Forse in questa semplice domanda si nasconde l'errore che commettiamo da anni: focalizzarci sul cosa, non sul come. I nostri bisnonni dubito avrebbero chiesto "hai mangiato?". Li immagino invece domandare, con occhi attenti e rispettosi: "Come stai?"
Già, come stai? Lo domandiamo ai nostri figli? E loro lo domandano mai a noi?
Mi ha colpito la condivisione di un padre che, davanti all'impotenza di salvare la figlia anoressica, le ha detto: "Non posso più far niente per te, ma posso ancora far tutto per me e per chi ci sta accanto. Posso mettermi in discussione, lavorare su me stesso, assumermi il peso del passato e la responsabilità del presente. Posso andare in cura da un terapeuta per imparare come affrontare il dolore di non poterti nutrire. Per imparare a nutrire me stesso in modo nuovo, autentico, vitale."
Forse proprio nella domanda "cosa hai mangiato?" abbiamo avvelenato il vero significato di nutrimento: nutrire menti e cuori, alimentarli con amore. L'amore che ha il coraggio di manifestarsi domandando e ascoltando "come stai?". L'amore che va oltre, che digerisce qualsiasi boccone amaro per rispettare il vostro passo, la vostra fame, la vostra stanchezza, la vostra crescita.Sempre più spesso mi sconvolge osservare quanto siamo sordi e omertosi davanti a quel dolore sordo, implacabile, distruttivo. Quanto ancora dovrete urlare, scioperare, violentarvi, raccontandovi di non aver fame e di poter controllare tutto, in primis la vostra distruzione, affinché sia chiaro che avete solo fame, fame d'amore?
È terribile per un genitore osservare l'aumento incontrollato di fenomeni di depressione e disturbi alimentari, emotivi, comportamentali, sociali.
Nei prossimi giorni si terrà a Milano un evento che mi sembra interessante ma di cui non condivido il titolo: "Happiness Tour", dedicato all'approfondimento con neuroscienziati, psicologi, coach, studiosi di temi come la depressione e i disturbi giovanili.
Voi non vi autorizzate nemmeno a immaginare cosa sia la felicità. E forse nemmeno noi lo facciamo più. Un'idea astratta? Un sogno utopistico? Un diritto universale?
Posso attestare umilmente: la felicità è una presenza. Sfuggevole, impalpabile, estemporanea, ma non per questo illusoria. La felicità è possibile: stare nel presente, accogliere quello che la vita offre e trasformarlo in opportunità di crescita. Il nutrimento dell'anima, integratore di ciò che già crediamo di sapere. Cambierei il titolo in "Opresent Tour": un viaggio nell'importanza di aprirsi al presente, di stare nel presente. Non pensare a domani, a dopo, a prima, a ieri. Focalizzarsi sul reikiano: "solo per ora":
Solo per ora ho fame? Solo per ora mi voglio un briciolo di bene? Solo per ora cosa mi dà gioia? Solo per ora non mi arrabbio. Solo per ora respiro. Solo per ora sperimento qualcosa che forse non ho mai provato: Un sorso di latte. Una briciola d'amore.
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